Intervista a Enrico Morbelli

Quella volta che incontrai Gorbaciov

Quattro chiacchiere con Enrico Morbelli, fondatore e direttore della Scuola di Liberalismo. Tanti ricordi e un aneddoto particolare

Una vita tra radio, carta stampata, politica e cultura. Enrico Morbelli, fondatore e direttore della Scuola di Liberalismo, ci racconta com’è nata questa iniziativa e come si è evoluta nel tempo.

Nel logo c’è scritto “Scuola di Liberalismo – dal 1988”. Sono tanti anni. Com’è cominciata questa storia?

Questa storia è cominciata perché un gruppo di amici liberali decise un’azione di fiancheggiamento al PLI e si riunì in un’associazione che battezzò “Incontro democratico”. La capitanava l’ex deputato e consigliere comunale Giuseppe Alessandrini, coadiuvato dal suo braccio destro Renato Mastronardi. C’erano anche l’allora consigliere regionale Gabriele Alciati, l’avvocato Luciano Argiolas, l’ingegner Passafiume. E c’ero io. Decidemmo di fare un’attività culturale, e io proposi di fare la scuola.

Come le venne questa idea?

Mi venne perché qualche anno prima – a Vinadio, in provincia di Cuneo – c’era stato un incontro di giovani liberali patrocinato dal partito. Io non facevo più parte della Gioventù liberale, ero andato lì per conto di un giornale che si chiamava “Battaglie liberali”, diretto proprio da Giuseppe Alessandrini. Questo incontro era in pratica una scuola estiva del PLI. Ma non la scuola di partito come si intendeva allora: al tempo quando si parlava di scuola di partito tutti pensavano alle Frattocchie, quindi all’addestramento del personale politico di professione; e noi non eravamo professionisti della politica. In quell’occasione, in un paio di pomeriggi, ho imparato tantissime cose. Si parlava di storia e di scuola con Giomo e con Valitutti, si parlava con Malagodi e con altri politici di grido.

Da quell’idea nacque quindi la scuola di liberalismo. Come si svolse la prima edizione?

Fu fatta in una maniera che non è stata più ripetuta: dovevano essere 20 universitari e 20 liceali, ma alla fine di liceali ne vennero pochi, non più di tre o quattro, e quindi li mettemmo assieme alle matricole universitarie: la maggioranza degli iscritti era composta da studenti più grandi. Fu una bella esperienza. Eravamo sopra un deposito di cartastraccia, a Piazza Mancini, lungo la strada per andare all’aeroporto. Vennero a far lezione personalità del calibro di Malagodi, Bozzi, Battistuzzi, Melillo, Zanone… Ci furono anche dei premiati. La tesina migliore fu di Stefano De Luca, che adesso è professore al Suor Orsola Benincasa. Era appunto il 1988.

Come si è evoluta la scuola nel tempo?

Dopo quella prima edizione, non ci fu immediatamente la seconda. Però organizzammo dei viaggi sponsorizzati dalla Regione Lazio. Andammo due volte a Bruxelles e una a Berlino. Ad ognuno di questi viaggi partecipavano 40-50 studenti. Queste iniziative ebbero un buon risultato perché partendo da quei ragazzi creammo il nucleo degli allievi delle scuole seguenti, che si tennero in un teatro che si chiamava “Teatro della Scaletta”. Fu il boom della scuola, che partì alla grande e andò veramente bene. Se non ricordo male, poi saltammo un anno perché il teatrino se lo ripresero i preti; e noi laici restammo senza. Quindi andammo al vecchio liceo del Nazareno, dove c’era un’università privata che ci ospitò per diversi anni.

Può raccontarci qualche aneddoto? Qualche incontro che l’ha colpita particolarmente?

L’incontro che mi ha colpito maggiormente riguarda Michail Gorbaciov, che ha da poco compiuto novant’anni. Molti anni fa, Gorbaciov venne a tenere una conferenza, che era organizzata da questa università che ci ospitava: la European School of Economics. C’era talmente tanta gente che furono riempiti il salone dove facevamo la scuola di liberalismo e l’aula magna, che erano collegate con l’altoparlante. Gorbaciov era un uomo eccezionale. Aveva anche un interprete di grande bravura, un russo che conosceva molto bene l’italiano. Dopo aver fatto la conferenza, si avvicinò a quelli che avevano seguito il suo discorso nell’altro spazio. Fu bravissimo, perché stette per altri quaranta minuti a chiacchierare con loro. La cosa che mi è rimasta impressa è che dopo la lezione, io e alcuni altri andammo a cena con lui in una pizzeria di Via Margutta. Chiacchierammo del più e del meno. Ecco: grazie alla scuola, posso dire di aver mangiato una pizza con Gorbaciov.

Che cosa disse Gorbaciov in quella conferenza?

Sapeva benissimo che si trattava di una scuola di liberalismo, quindi fece un discorso che cercasse di tenere insieme le sue idee con quelle della maggior parte dei presenti. Disse che bisognava essere pragmatici e realisti.

Tra gli allievi della scuola di liberalismo ci sono anche delle persone che hanno avuto una brillante carriera. Vogliamo ricordarne qualcuno?

Il vincitore della prima scuola – il citato Stefano De Luca – adesso è professore a Napoli. E docenti sono diventati anche Rosamaria Bitetti alla LUISS, Gustavo Cevolani a Lucca, Anna Di Bello all’Orientale di Napoli, Riccardo De Caria a Torino. Abbiamo avuto Tommaso Edoardo Frosini, anche lui professore; Giovanni Orsina, storico ed editorialista della “Stampa”; Florindo Rubbettino, editore. Poi ci sono alcuni giornalisti: Nicola Porro, Giovanni Floris, Fausto Carioti, Andrea Mancia, Cristina Missiroli. Ce ne sono tanti altri, ma non possiamo citarli tutti. Tra i nostri allievi va annoverato anche Alberto Mingardi, che partecipò alla prima scuola di liberalismo di Milano.

Come nacque la scuola di Milano?

Le prime scuole fuori Roma le facemmo a Napoli, con la collaborazione della Fondazione Cortese: una collaborazione che continua ancora adesso. Dopo Napoli toccò appunto a Milano. Elvira Cerritelli, uno dei nostri punti di forza alla scuola di Roma, andò a lavorare lì e organizzò la scuola. Quell’anno, tra gli allievi, c’era anche Alberto Mingardi, che un po’ di tempo dopo avrebbe fondato l’Istituto Bruno Leoni, il pensatoio liberale oggi noto anche a livello internazionale.

Tra i docenti di tutti questi anni figurano personalità molto diverse tra loro, sul piano politico e culturale. È la ricchezza dell’approccio liberale?

Se vogliamo fare una battuta, diciamo che è l’approccio “morbelliano” al liberalismo. Tutta la prima parte della mia vita l’ho passata in un contesto nel quale il liberalismo era considerato un curioso avanzo dell’antichità. Era come parlare del medioevo. Ci si chiedeva ironicamente se esistessero ancora i liberali. Poi è caduto il muro di Berlino, giusto un anno dopo la nascita della scuola, che proprio in quel momento ebbe un boom eccezionale. Tutti si erano accorti improvvisamente che il liberalismo era la scuola di pensiero vincente. Però, come avviene anche in altre case politiche, ciascuno crede di essere l’unico vero esponente di quell’idea: ogni liberale è convinto di essere “il liberalismo” e dice che gli altri non sono veri liberali.

L’approccio “morbelliano” invece è inclusivo, diciamo?

Io ho un’idea ecumenica, che non tutti condividono. Il punto è che, quando andavo all’università, nessuno si professava liberale. Adesso si professano tutti liberali. E io ne sono contento. Uno può essere liberale di destra o di sinistra, di sopra o di sotto: ma per me è innanzitutto un liberale. Certo, tra un liberale e l’altro ci sono differenze, anche notevolissime; ma tutte riconducibili allo stesso metodo e allo stesso fine. E il fine è quello di far prevalere le libertà individuali su qualsiasi altra cosa.

Per molto tempo, come diceva lei, il liberalismo è stato minoritario. Poi c’è stato un periodo, appunto, in cui tutti si sono detti liberali. In seguito, il liberalismo è stato un po’ preso di mira, soprattutto dopo la crisi economica del 2008. Adesso com’è la situazione?

Si è sostenuto che la crisi fosse colpa della globalizzazione. Invece, la globalizzazione ha portato molti benefici. Mezzo miliardo di persone è uscito dalla povertà, ed è stato un dato molto positivo. Certo, alcuni hanno detto: “Che mi importa delle persone che sono uscite dalla povertà, se io non riesco a pagare il mutuo?”. E la gente si è convinta che la mondializzazione, la libertà dei mercati, l’intrapresa privata siano la causa di tutto quello che è successo. Certamente qualcuno ha avuto degli svantaggi. Ma la libertà è anche connessa al rischio. In Italia, particolarmente, se qualcuno fallisce dà sempre la colpa a qualcun altro: non è mai colpa sua. Questo è il motivo per cui molti hanno addossato la responsabilità delle cose che non andavano al cosiddetto “liberismo selvaggio”. Ma il fatto che ci debbano essere meno regole non vuol dire che non ve ne debbano essere. Il liberalismo, senza regole, non è liberalismo.