Scuola di Liberalismo

FRANCO CHIARENZA – Una sfida per il liberalismo: la comunicazione globale

Lezione della Scuola di Liberalismo di Roma – 2 febbraio 2001

Vinto, almeno nella sostanza, il confronto epocale tra il liberalismo e le ideologie totalitarie e totalizzanti del secolo scorso, ricondotte le divergenze politiche nell’ambito di una comune accettazione del metodo liberal-democratico, nuovi problemi e nuove sfide si presentano per la concreta realizzazione di società liberali nel XXI secolo. Nessuno infatti, almeno nell’ambito delle società occidentali industrializzate, mette più in discussione il metodo democratico fondato sull’alternanza al potere e sul riconoscimento delle libertà fondamentali dei cittadini; non era così fino a ieri, quando, prima ancora dei contenuti, veniva messo in discussione proprio il metodo. Mi pare che questo capitolo sia chiuso, ma se ne aprano molti altri. Il liberalismo deve confrontarsi con tre grandi sfide, entro le quali tutte le altre si ricomprendono. La sfida dell’economia e della finanza (possiamo definirla “sfida del mercato globale”); la sfida della tutela dei diritti individuali vecchi e nuovi nell’ambito di una comune ricerca e accettazione di valori condivisi (possiamo definirla “sfida dei diritti globali”); la sfida della capacità di comunicare e informare affinché il momento della decisione consapevole torni nelle mani del popolo che dovrebbe esserne titolare (potremmo definirla “sfida della comunicazione globale”).

Le tre sfide sono naturalmente connesse tra loro, e ciò che più le collega è proprio la comunicazione globale. Sono i nuovi strumenti di comunicazione che cambiano in modo sostanziale l’economia e la finanza, sono sempre loro che trasmettono e rimbalzano modelli di comportamento e proposizione di valori da cui deriva la formulazione dei diritti e dei doveri di una comunità.

L’ultima generazione degli strumenti di comunicazione è caratterizzata da una innovazione rivoluzionaria rispetto ad ogni altro mezzo di comunicazione che l’ha preceduta: l’interattività. Qualche studioso ritiene che si tratti della rivoluzione comunicativa più importante dopo l’invenzione della stampa. Questa rivoluzione si chiama internet.

Prima di internet tutti i mezzi di comunicazione di massa, e quindi anche di informazione, erano caratterizzati dal passaggio di contenuti appositamente elaborati da un punto emittente a una pluralità più o meno ampia di soggetti riceventi. La questione del loro controllo poneva – e pone tuttora – alcuni problemi alla concezione liberale della convivenza civile: problemi di concentrazioni proprietarie, di rapporti con la politica, in alcuni casi di censura sui contenuti. Una problematica che ha dato vita a un’ampia letteratura e a dibattiti senza fine anche relative a questioni etiche non facilmente risolvibili in un’ottica liberale. Ma non è di questo che oggi parliamo.

Per essere chiari: tutti i mezzi tradizionali di comunicazione hanno una stessa logica, cambia soltanto il tipo di pervasività del messaggio. Ma i messaggi – lanciati con la carta stampata, con la radio, con la televisione e col cinema – partono tutti da un punto e vanno a finire a una pluralità di soggetti. È una caratteristica costante che si ripete nelle trasmissioni vocali, di immagini, di stampa. È chiaro dunque che chi controlla il punto di partenza ha in mano uno strumento formidabile di condizionamento della pubblica opinione. Questa constatazione ha aperto un dibattito a cui la cultura liberale non è stata affatto estranea perché i liberali ritengono che prima di deliberare bisogna conoscere e per conoscere bisogna essere informati. Per questo la libertà di informazione è il presupposto stesso di un corretto esercizio della democrazia.

Internet ha rappresentato un improvviso sconvolgimento di questo approccio, perché , contrariamente a tutti i mezzi tradizionali d’informazione, invece di andare da un punto a molti fruitori, va da punto a punto. Si tratta di un sistema a rete in cui non vi è alcuna centrale di partenza e dove non esiste un punto unico di origine del messaggio: tutti, potenzialmente, possono comunicare con tutti, come avviene per il telefono e la corrispondenza (da cui peraltro, in qualche misura, deriva). Ma mentre telefono e corrispondenza sono strumenti di comunicazione inter-personali senza la possibilità di trasformarsi in mezzi di comunicazione e di informazione di massa, internet ha questa capacità. Esso infatti, almeno potenzialmente, consente di diffondere messaggi e informazioni saltando l’intermediazione dei giornalisti e in generale dei comunicatori professionisti, di coloro cioè che si incaricano di scegliere, selezionare, creare il prodotto da offrire al consumo di massa.

In questo quadro gli altri mezzi di comunicazione possono sembrare superati o quanto meno destinati ad integrarsi con internet; in larga misura ciò si verificherà ma i tempi saranno lunghi e l’esperienza dimostra che ogni nuovo mezzo di comunicazione non ha mai eliminato quelli precedenti, anche se li ha costretti a modificarsi in modo sostanziale. Quando arrivò la televisione si disse che era la fine della radio; la radio non solo è sopravvissuta, ma sta attraversando una nuova stagione di grande vitalità, dopo essere passata attraverso trasformazioni radicali. Per il teatro nei confronti del cinema, e per il cinema nel confronti del piccolo schermo, possiamo fare un discorso analogo. Quelli che oggi – sull’entusiasmo per internet – già celebrano il funerale della televisione faranno bene a fermarsi un attimo: io non credo affatto che la televisione sarà spazzata via. Credo piuttosto che il modo di fruire la televisione a cui siamo abituati è destinato a cambiare moltissimo e la televisione stessa dovrà trasformarsi in modo sostanziale se vorrà superare l’impatto che deriverà dall’uso generalizzato di internet.

In realtà al momento attuale la diffusione di internet deve ancora fare i conti con problemi tecnici (che si risolveranno probabilmente soltanto con il passaggio dal cavo al satellite), economici, di difficoltà di uso (soprattutto per le generazioni più anziane) e di barriere linguistiche. Il numero di computer venduti e di collegamenti internet realizzati non deve trarre in inganno; nella maggioranza dei casi sono sottoutilizzati.

Vi sono inoltre altri due ostacoli importanti: la disponibilità di tempo, ovviamente limitata per chi ha attività di lavoro e interessi alternativi (per esempio sportivi o culturali) che non lasciano libere le quantità di tempo che occorrerebbero per sfruttare adeguatamente le potenzialità del mezzo. E l’altro costituito dalla possibile esclusione di gran parte dell’umanità dall’uso del mezzo, determinando accanto ai tradizionali gap economici e geopolitici nuove differenze, anche all’interno delle nazioni, tra chi è dentro il sistema di comunicazione interattivo e chi, per le ragioni più diverse, ne resta escluso. Questa è una cosa di cui gli studiosi della comunicazione discutono molto: le nuove esclusioni, le nuove differenze che la diffusione di Internet può comportare.

Voi capite che, se alle differenze di carattere economico e culturale (pensate che una larga parte del mondo è ancora analfabeta) aggiungiamo l’“analfabetismo elettronico” (che può abbracciare interi popoli, ma anche, all’interno delle nazioni più avanzate, quelli che entrano nel sistema e quelli che ne restano fuori), noi avremo un altro fattore di divisione dell’umanità. Il rischio di esclusione va dunque ad aggiungersi a quelli già esistenti in un pianeta dove 1/5 della popolazione consuma (in tutti i sensi: materiale, culturale, esistenziale) quanto gli altri 4/5 messi insieme.

Ma anche ammesso che l’innovazione tecnologica e la globalizzazione economica riescano negli anni futuri a superare queste incongruenze, o comunque in qualche modo a controllarle, i liberali devono porsi alcuni interrogativi, non allo scopo di frenare la diffusione dell’interattività – perché questa, anzi, rappresenta una rivoluzione liberale per definizione – ma piuttosto per cercare di capire se dietro queste potenzialità si nascondano dei rischi, e quali.

Il primo problema è quello dell’intermediazione nell’informazione. Per le ragioni sopraddette appare evidente la necessità di una attività di servizio che selezioni, elabori, dia i riferimenti necessari a chi vuole ricevere informazioni di ogni genere, dalle notizie di attualità all’informazione specializzata agli approfondimenti mirati. La stampa e le agenzie si sono già attivate in internet per non perdere la propria tradizionale funzione, i motori di ricerca vanno specializzandosi sempre più. Ma appare chiaro che nuove strutture di intermediazione si svilupperanno cercando di interpretare la domanda remunerandosi attraverso abbonamenti e accessi a pagamento. L’interazione con le televisioni specializzate (vedi CNN) e il satellite consentirà soluzioni sempre più innovative.

Per come la situazione si presenta adesso e finché le nuove forme di intermediazione si fonderanno sull’incontro tra domanda e offerta non si ravvisano pericoli di condizionamento e di manipolazione; anzi, data la possibilità di accedere facilmente a una pluralità di fonti, queste strutture offriranno maggiori garanzie di libertà di quelle tradizionali. Il rischio è rappresentato dalla possibilità – anche se tecnicamente ancora dubbia – che lo Stato intervenga per la pretesa di tutelare le fasce deboli della società, per esempio i minori. Ciò aprirebbe la strada a forme più o meno insidiose di censura, in netto contrasto con la nostra visione liberale.

Per i liberali i reati si puniscono dopo essere stati commessi e non è lecito prevenirli con misure limitative della libertà personale. I controlli preventivi si sa dove cominciano, non si sa mai dove vanno a finire. È questa la posizione della Corte Suprema degli USA più volte ribadita in base al primo emendamento, anche in casi eticamente difficili, ma spesso non è questa l’opinione di ambienti soprattutto cattolici ma anche laici conservatori su questa delicata materia.

Certo un problema di tutela dei minori esiste, anche perché internet rappresenterà in futuro uno strumento di studio, di comunicazione (e-mail), di approfondimento ed insieme di svago e di divertimento; a differenza dei progenitori stampati, televisivi e cinematografici, il computer è indivisibile nelle sue diverse funzioni. Ho letto che si stanno mettendo a punto soluzioni tecnologiche che potrebbero aiutare a risolvere questi problemi ma l’esperienza insegna che a ogni rimedio seguono nuovi modi di aggiramento in un inseguimento inutile e pericoloso che rischia di trasformare, per non sbagliare, tutta l’utenza in una immensa platea di minorenni, come sta già avvenendo per la televisione generalista. La soluzione del problema sta probabilmente altrove: non nel tenere lontani i bambini dal mare ma nell’insegnare loro per tempo a nuotare.

Un secondo problema riguarda la tutela della riservatezza personale; attraverso internet si stanno costituendo immense banche dati che sostituiscono la tradizionale documentazione cartacea ma che, a differenza di essa, consentono un accesso più facile e un coordinamento dei dati personali che mettono l’individuo alla mercé di chi li conosce. Ciò comporta – come è ovvio – conseguenze gravissime se non si attuano sistemi di protezione rigorosi che tutelino le informazioni personali. La raccolta dei dati inoltre spesso avviene senza che gli interessati ne siano consapevoli attraverso il semplice accesso ad internet. Intendiamoci: la raccolta di archivi e dati personali è sempre esistita e sempre ha rappresentato da una parte uno strumento indispensabile di amministrazione (per esempio polizia, sanità, fisco, ecc.) e dall’altra un rischio di abusi da parte dei loro gestori; ma internet ha reso la questione più grave per le possibilità di interconnessione e per la difficoltà di identificarne i responsabili.

Un altro problema riguarda gli assetti politici costituzionali disegnati dai liberali due secoli fa e rimasti sostanzialmente invariati, fondati sul principio di rappresentanza. Ritenere che il giorno in cui tutti avranno il computer sul loro tavolo e avranno imparato a utilizzarlo non lo useranno anche per interloquire con il potere politico sarebbe davvero ingenuo; già adesso il fenomeno sta manifestandosi in misura crescente. Ma la questione va oltre: internet consente, almeno in teoria, non soltanto di comunicare col mondo politico, ma anche di esercitare direttamente la funzione elettorale e quindi una forma di controllo permanente sul potere politico (è la questione che gli americani chiamano “democrazia elettronica”).

Al di là di ogni retorica sul villaggio globale e sul ritorno all’ideale greco dell’agorà, la questione si pone in termini di cambiamento, anche radicale, del sistema di rappresentanza basato oggi sul mandato generale senza delega vincolante. La diffusione dei referendum, l’importanza crescente dei sondaggi già rappresentano un’anticipazione di quanto potrà avvenire. Anche in questo caso non c’è da scandalizzarsi, la trasformazione può essere benefica. Quello che bisogna capire è come si organizzerà la raccolta del consenso, quale sarà il futuro di partiti o di altre strutture di intermediazione sottoposte al controllo continuo dei gruppi di interesse di base, a loro volta intercambiabili con modalità trasversali, a seconda dei temi in discussione. I partiti tradizionali con le loro strutture rigide, le loro militanze di appartenenza ideologica appaiono certamente superati; ma cosa prenderà il loro posto e cosa garantirà che le emozioni non prendano il sopravvento sulla riflessione determinando una legislazione e un’attività politico-amministrativa schizofreniche, più di quanto già esse non siano?

Tornano di attualità in questo contesto le differenze tra democrazia e liberalismo. I nuovi mezzi di comunicazione globale rappresentano certamente potenti strumenti di democrazia diretta, ma devono esistere ed essere riconosciuti quei diritti inalienabili impermeabili al cangiante mutare delle maggioranze e alle pressioni che la comunicazione stessa diffonde senza possibilità di adeguati controlli. E così il cerchio tra politica, economia e diritti si chiude nel grande gioco della comunicazione globale dove tutto si risolve. Senza mai dimenticare che la comunicazione è uno strumento: utile o dannoso dipende da come si usa.

I liberali sanno che la conoscenza, e quindi l’informazione che transita attraverso la comunicazione, è presupposto ineludibile per un corretto esercizio dei diritti democratici. Quanto più si allargano le possibilità di comunicazione tanto più i liberali sono contenti; a condizione però che esse non contraddicano il principio di responsabilità che del liberalismo rappresenta un cardine fondamentale. Ecco perché di fronte alle nuove forme di comunicazione globale c’è la consapevolezza che su questo terreno si gioca la sfida decisiva per riuscire a perpetuare i principi del liberalismo nel nuovo secolo. Il mio atteggiamento è di fiducia, in qualche momento di entusiasmo, ma anche di attenzione e di riflessione.

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