Le elezioni in Spagna
Giorgio Ferrari
29 aprile 2019
Le elezioni in Spagna, si dice, hanno prodotto un rebus. In realtà quello che è uscito dalle urne è un puzzle di complicata soluzione. Le tessere che vanno ricomposte infatti non sono solo quelle dei partiti, ma soprattutto sono i pezzi della Storia iberica che, come altrove in Europa, negli ultimi anni è andata in frantumi. Il cerino, per ora, è in mano a Pedro Sánchez che ha avuto il merito di far diventare il PSOE, ossia il partito socialista, protagonista e vincitore delle elezioni. Vittoria che però non si traduce in una maggioranza, nemmeno in coalizione con le altre forze progressiste o genericamente di sinistra. La sua azione è stata un mix di statalismo e liberismo, ma soprattutto ha puntato sulla storia post franchista, sulla normalità democratica, sulla presa d’atto della complessità dalla Spagna di oggi. Sulla questione catalana ha alternato il basso profilo a toni più decisi, e non è stato solo un calcolo elettorale.
I popolari, inseguendo tematiche e toni dell’estrema destra, hanno subito una netta sconfitta, cosa che dovrebbe far riflettere i conservatori di tutta Europa. I Ciudadanos, ai quali hanno guardato con simpatia i liberali europei, hanno avuto un buon risultato, ma la loro collocazione nel puzzle è di difficile incastro. Anche loro si sono schiacciati sulla destra, hanno sì evocato un pezzo importante della Storia: la tradizione liberale, le lotte ottocentesche, ma sulla Catalogna hanno assunto posizioni durissime, non tenendo conto che il liberalismo deve prendere atto che il Regno di Spagna è multietnico, cosa che non significa che si deve frantumare, ma che deve trovare nuovi e più avanzati equilibri. Ci torneremo. È arretrato il movimento speculare a quello dei Ciudadanos, ossia Podemos, una nuova sinistra che molti, sbagliando, hanno equiparato al M5S. A smentire questo paragone basta un fatto: hanno dimostrato in tutti i modi di voler contrastare i nostalgici franchisti ed è impensabile che possano stipulare con loro un contratto di governo. Un tratto comune con i nostri grillini però esiste, ed è la difficoltà di passare dalla protesta alla concreta azione di governo, anche se il complesso della loro narrazione circa il futuro del loro Paese appare decisamente più assennato.
E veniamo alla questione delle questioni, la tessera del puzzle che rende difficile la composizione del medesimo: la Catalogna. Non mi dilungo sulla complicata storia che ha portato al referendum secessionista e al successivo stallo politico, tra arresti eccellenti e fughe altrettanto eccellenti, Mi limito a dire che nel 2006 era stato trovato un accordo tra tutte le parti interessate e che questo storico patto fu cassato dal governo conservatore di Mariano Rajoy. Bisogna ripartire da qui. Tutti tranne i franchisti di Vox sono europeisti, ma quel 10 per cento che permette per la prima volta all’estrema destra di entrare in Parlamento è pronto a soffiare sul fuoco delle divisioni, a fomentare odio, a incistarsi nelle Istituzioni infettandole. La Spagna che raccontano è quella dell’intolleranza religiosa, di Torquemada e dello sterminio degli indios americani. È pura follia, ma se non viene contrastata può crescere. La Spagna ha un modello che potrebbe seguire: quello del Regno Unito, dei tanti popoli uniti dalla corona ma con ampie autonomie. Chi penserà e lavorerà per una nuova Spagna, riprendendo il filo spezzato nel 2006, renderà un grande servigio non solo al suo Paese, ma a tutta l’Europa. E finalmente metterà a posto tutte le tessere del puzzle.